images_(4)LA SEPARAZIONE CONIUGALE
La separazione legale puo’ essere consensuale o giudiziale. La separazione consensuale, si fonda sul presupposto della sopravvenuta intollerabilita’ della convivenza, e implica che i coniugi siano d’accordo su tutte le condizioni sull’affidamento e collocamento figli, sull’assegnazione della casa familiare, sull’ammontare dell’assegno di mantenimento a favore del coniuge economicamente piu’ debole, nonché su quello per i figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti che non possono autonomamente provvedere alle proprie esigenze di vita in correlazione ad un fruttuoso percorso di studi.
Ci si puo’ separare davanti al Sindaco, davanti agli Avvocati tramite la negoziazione assistita oppure davanti al Presidente del Tribunale.
Il primo modo e’ il piu’ semplice ed economico in quanto non e’ obbligatoria l’assistenza (e pertanto il pagamento) degli avvocati ma con significativi limiti: a) che dal matrimonio non siano nati figli; b) che l’accordo non contenga disposizioni di carattere patrimoniale.
Con il secondo, pur senza i limiti di cui sopra, si evita solo di andare in Tribunale ma il vantaggio finisce qui (se tale si puo’ definire) in quanto a differenza della classica separazione consensuale e’ prevista l’assistenza obbligatoria (e il pagamento) di due avvocati (uno per parte) a cui si aggiungono ulteriori adempimenti forieri di imprevedibili complicazioni soprattutto quando vi sono figli minori o maggiorenni non autosufficienti o incapaci o portatori di grave handicap perché in tal ultimo caso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale, anziche’ con un semplice nulla-osta, deve espressamente autorizzare le condizioni di separazione e, non e’ sempre scontato che lo faccia, soprattutto se ritiene, a suo giudizio, che l’accordo raggiunto dai coniugi sia contrario all’interesse dei figli dovendo, in tal caso, trasmetterlo al Presidente del Tribunale per la comparizione personale delle parti. Non e’ pacifica la valenza all’estero di tale separazione in quanto priva dell’imprinting del giudice.
Il terzo modo e’ quello classico della comparizione avanti al Presidente del Tribunale previa sottoscrizione di un ricorso contenente le condizioni della separazione, che possono essere raggiunte anche tramite un solo avvocato per entrambi i coniugi, con le quali potranno regolare (anzi e’ consigliabile che lo facciano), oltre alle usuali condizioni, anche quelle relative ai beni e ai rapporti economici (conti correnti, finanziamenti, mutui, auto, casa, beni mobili, ecc.).
Il Presidente del Tribunale sentiti i coniugi ed esaminate le condizioni di separazione, se non confliggenti con l’interesse preminente dei figli, omologhera’, con successivo provvedimento collegiale, il verbale di separazione che la Cancelleria trasmettera’ all’Ufficiale dello Stato civile per l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio.
Se il coniuge ricorrente non si presenta, la domanda rimane priva di effetto mentre nella diversa ipotesi in cui sia il coniuge convenuto a non comparire, spetta al Presidente valutare, tenendo conto delle ragioni della mancata comparizione (incolpevole mancata /tardiva conoscenza del procedimento, gravi e comprovati motivi) l'opportunità di un rinvio per la comparizione personale delle parti.
E’ fortemente consigliato che i coniugi, con l’atto di separazione consensuale, regolino, per quanto possibile, tutte le questioni economiche non ultime quelle relative ai beni immobili che possono essere trasferiti con effetto solutorio-compensativo dell’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento al coniuge piu’ debole e/o ai figli, il tutto favorito dal regime fiscale agevolato dell’art. 19 Legge 6 marzo 1987, n° 74 che prevede l’esenzione dall’imposta di bollo, di registro, ipotecaria e da ogni altra tassa di tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, ai quali e’ parificato quello della separazione coniugale, purche’ le condizioni prevedano esplicitamente che l’accordo patrimoniale sia elemento funzionale e indispensabile ai fini della risoluzione della crisi coniugale.
E’ sconsigliabile, sebbene non sia vietato, prevedere nelle “condizioni” di separazione o di divorzio, anziché il cd. “atto di adempimento traslativo” (e cioè di quel successivo atto notarile con il quale si concretizza l’impegno assunto dai coniugi di trasferire la proprietà dei beni immobili), il trasferimento “diretto” della proprieta’ in quanto solo l’assistenza di un notaio consente di non violare le prescrizioni normative che impongono una serie di verifiche e di adempimenti che sono di sua esclusiva competenza (identificazione catastale, riferimento alle planimetrie depositate in catasto, dichiarazione della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, conformita’ impianti, classe energetica, iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli, ecc.) che possono avere ricadute pregiudizievoli tali da condurre persino alla nullita’ del contenuto dell’atto di trasferimento o non alla non trascrivibilita’ dello stesso nei registri immobiliari.
Se i coniugi non trovano l’accordo sulle condizioni di separazione (e qui e’ importante la mediazione degli avvocati) occorrerà procedere con la separazione giudiziale con la quale ogni decisione (che piaccia o meno) viene presa al Tribunale. Tuttavia la scelta non e’ irreversibile potendo in corso di causa, raggiunto un postumo accordo sulle condizioni, convertirsi in consensuale.
La separazione giudiziale inizia con il deposito del relativo ricorso in Tribunale a fronte del quale il Presidente fissata un’udienza davanti a se’, previo tentativo di conciliazione, sentite le parti, anche separatamente (ma cio' non sempre avviene), e i rispettivi difensori, assume con ordinanza i provvedimenti temporanei ed urgenti nell’interesse dei figli e dei coniugi. Detti provvedimenti di solito ineriscono: all’affidamento e collocazione dei figli minori; all’assegnazione della casa familiare; all’importo del contributo ordinario e alla percentuale del contributo straordinario per il mantenimento dei figli minori o maggiorenni non autosufficienti; al diritto di visita del genitore non collocatario dei figli minori; all’importo del contributo per il mantenimento del coniuge economicamente piu’ debole.
Dopo aver assunto i suddetti provvedimenti, il Presidente nomina un giudice Istruttore per il prosieguo della causa che, a seguito di istruttoria sulle opposte domande delle parti, si conclude con una sentenza il contenuto decisorio sostituisce quello dell’ordinanza presidenziale.
Sulla regolamentazione delle spese straordinarie dei figli minori o maggiorenni non autosufficienti, al fine di evitare ogni conflittualita’ e inutili contenziosi tra i coniugi, i Tribunali del distretto tendono sempre più spesso a richiamarsi alle linee guida della Corte di Appello di Milano, che potete consultare
qui.
Occorre fare una doverosa idistinzione tra affidamento e collocamento dei figli.
Con l’affidamento il giudice definisce come ripartire l’esercizio della responsabilità genitoriale sui figli minorenni in situazioni di non-convivenza dei genitori. L’organo giudicante, secondo i casi, dispone che lo stesso sia esercitato congiuntamente da entrambi i genitori (regola) oppure in via esclusiva da uno solo di essi (eccezione) qualora ritenga che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore. La responsabilità genitoriale comprende diritti sia di natura personale che di tipo patrimoniale con attribuzione al genitore affidatario del diritto, salvo che non sia diversamente stabilito dal giudice, di assumere le decisioni di maggior interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute, all’amministrazione dei beni e alla rappresentanza in giudizio.
Il collocamento invece puo’ essere: prevalente (la regola) allorquando il figlio minore e’ collocato presso l’abitazione di uno dei genitori cd. “collocatario” (normalmente la madre); alternato (raro) quando il minore abita in modo alternato (15 gg./ 1 mese, ecc.) prima a casa di un genitore e poi dell’altro; invariato (rarissimo) quando il figlio abita stabilmente nella originaria casa coniugale e i genitori si alternano in periodi prestabiliti a vivere con lui.
Al genitore non collocatario dei figli minori sara’ comunque riconosciuto il diritto di visita durante il quale potra’ vedere i figli in alcuni giorni ed orari prestabiliti nonché tenerli con se’ per periodi piu’ lunghi (es. per i fine settimana) e altresi’ per le vacanze (es. pasquali, natalizie estive, ecc.) compatibilmente con gli impegni scolastici dei minori.
Il giudice dovra’ poi stabilire l’ammontare del contributo per il mantenimento dei figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti nonche’ di quello a favore del coniuge economicamente piu’ debole.
Cominciando dal primo occorre tener presente che, salvo diversi accordi liberamente sottoscritti dalle parti (leggasi: condizioni sottoscritte con il ricorso per la separazione consensuale), e che ciascuno dei genitori deve provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, il giudice stabilira’ l’ammontare della corresponsione di un assegno periodico considerando: 1) le attuali esigenze del figlio; 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori; 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore; 4) le risorse economiche di entrambi i genitori; 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore. Al suddetto contributo dovra’ poi aggiungersi l’ulteriore contributo (che sarà espresso in percentuale) necessario per le spese straordinarie dei figli: e cioè per quelle spese non incluse del contributo ordinario (es. cure dentistiche, occhiali da vista, tasse scolastiche, libri di testo, gite scolastiche, spese per attivita’ ricreative, patente guida, acquisto mezzo di trasporto, ecc.)
Quanto al secondo, consiste in un assegno periodico che il giudice, nel pronunciare la separazione, stabilisce a favore del coniuge economicamente piu’ debole di ricevere dall’altro per quanto necessario al suo sostentamento qualora egli non abbia adeguati redditi propri. Detto assegno, tuttavia, non e’ riconosciuto al coniuge al quale sia stata addebitata la responsabilità della separazione, potendo tutt’al piu’, se ricorrono i presupposti dello stato di bisogno, essergli riconosciuto un assegno alimentare.
Si perde altresi’il diritto all’assegno di mantenimento nel caso in cui il coniuge percettore abbia instaurato una convivenza more uxorio con un’altra persona che assuma i caratteri della stabilità e continuatività, presumendosi in tal caso che le disponibilità economiche di ciascun convivente siano messe in comune nell'interesse del nuovo nucleo familiare.
Nel caso di addebito della separazione il coniuge al quale e’ stata addebitata perde, oltre all’assegno di mantenimento, anche i diritti successori nei confronti dell’altro coniuge spettandogli solo un assegno vitalizio se al momento dell’apertura della successione beneficiava di un assegno alimentare. Nel caso di omesso pagamento dell’assegno di mantenimento e’ possibile richiedere al giudice il sequestro dei beni del coniuge inadempiente e di ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di danaro al coniuge obbligato (es. datore lavoro, ente erogatore pensione, ecc.) il pagamento diretto di quanto dovuto a tale titolo. La quota invece del TFR spetta solo al coniuge divorziato, come vedremo in seguito sull’argomento.
Quanto alla disciplina fiscale occorre precisare che l’assegno di mantenimento e’ fiscalmente detraibile per il coniuge che lo eroga e, simmetricamente, costituisce un reddito, assimilabile a quello da lavoro dipendente, per il coniuge beneficiario. All’opposto l’assegno erogato ai figli non e’ detraibile per chi lo eroga né tampoco tassabile per chi lo percepisce.


IL DIVORZIOimages_(2)
Il divorzio puo’ essere congiunto o giudiziale. Si parla, piu’ propriamente, di “cessazione degli effetti civili del matrimonio” quando il vincolo e’ religioso (matrimonio concordatario celebrato in chiesa) oppure di “scioglimento del matrimonio” quando il vincolo e’ soltanto civile (matrimonio celebrato solo in comune).
Il divorzio, si fonda sull’accertamento che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non puo’ piu’ essere mantenuta o ricostituita, e quando e’ congiunto comporta che i coniugi siano d’accordo su tutte le condizioni che generalmente sono analoghe a quelle della separazione coniugale salvo mutamenti medio tempore intervenuti.
Il ricorso per divorzio puo’ essere introdotto dopo 6 mesi dalla comparizione dei coniugi avanti al Presidente del Tribunale, se fa seguito a una separazione “consensuale”, mentre dopo 12 mesi se “giudiziale”. Nei casi di separazione avanti ai soli Avvocati, il divorzio puo’ essere chiesto dopo 6 mesi dalla data certificata nell’accordo di separazione raggiunto in sede di negoziazione assistita, mentre, se avanti al Sindaco, il termine di 6 mesi decorre dalla data in cui viene compilato l’atto che racchiude l’accordo firmato dai coniugi davanti all’Ufficiale di stato civile.
Al contrario non e’ previsto un termine massimo di tempo entro il quale chiedere il divorzio ben potendo i coniugi rimanere separati senza per forza divorziare. In tal caso i coniugi non perderanno i diritti successori ma ovviamente non potranno risposarsi.
Il divorzio congiunto, cosi’ come per la separazione consensuale e con i limiti ivi previsti, puo’ avvenire tramite il Tribunale (procedimento classico), tramite i soli Avvocati (negoziazione assistita) oppure tramite il Sindaco (o meglio avanti all’Ufficiale di Stato civile all’uopo delegato) e cio’ vale anche per le richieste di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. Nel procedimento classico la domanda congiunta e’ proposta al Tribunale in Camera di Consiglio del luogo di residenza o di domicilio dell’uno o dell’altro coniuge. Il Tribunale sentiti i coniugi, verificata l’esistenza dei presupposti di legge e valutata la rispondenza delle condizioni all’interesse dei figli, decide con sentenza. Problematica appare invece la risoluzione della questione nel caso in cui il Tribunale ravvisi che le condizioni relative ai figli siano in contrasto con gli interessi degli stessi posto che a rigor di legge l’ultima parte del comma 16, dell’art. 4 della Legge n. 898/70, nel prevedere l’applicazione della procedura di cui al precedente comma 8, pare optare per il mutamento del rito da camerale in contenzioso e la comparizione delle parti avanti al Presidente del Tribunale con tutte le conseguenti difficoltà circa il ruolo da attribuire ai coniugi (attore/convenuto) che, spesso assistiti da un solo difensore, hanno, con il ricorso congiunto, dismesso ogni loro conflittualita’.
La soluzione migliore parrebbe quella che il Tribunale, in tali casi, allorquando il contrasto non sia insanabile, “suggerisca” alle parti le opportune modifiche da apportare alle condizioni inerenti ai figli sì da superare il vaglio del collegio giudicante. La sentenza, una volta passata in giudicato, verra’ trasmessa in copia autentica a cura del Cancelliere del Giudice che l’ha pronunciata all’Ufficiale di stato civile del Comune in cui il matrimonio fu trascritto, e il divorzio avra’ efficacia, a tutti gli effetti civili, dal giorno dell’annotazione della sentenza. Pertanto al fine di evitare di attendere 6 mesi dalla pubblicazione della sentenza di divorzio perche’ la stessa produca i suddetti effetti e’ consuetudine far sottoscrivere ad entrambi i coniugi un atto di acquiescenza con rinuncia all’impugnazione da depositarsi, a secondo della prassi dei Tribunali, o contestualmente all’udienza Presidenziale o successivamente la pubblicazione della sentenza.
Il divorzio giudiziale, al pari della separazione giudiziale prevede anch’esso una fase presidenziale e una di merito. La domanda si propone con ricorso al Tribunale del luogo in cui il coniuge convenuto ha la residenza o il domicilio. Qualora il coniuge convenuto sia residente all’estero o risulti irreperibile la domanda di propone nel luogo di residenza o di domicilio del ricorrente e, se anche questi risiede all’estero, a qualunque Tribunale della Repubblica. I coniugi devono personalmente comparire davanti al Presidente del Tribunale assistiti dai rispettivi difensori. Se il coniuge ricorrente non si presenta, salvo gravi e comprovati motivi (non previsti dall’art. 707 c.p.c. per la separazione), la domanda rimane priva di effetto mentre nella diversa ipotesi in cui sia il coniuge convenuto a non comparire, spetta al Presidente valutare, tenendo conto delle ragioni della mancata comparizione (incolpevole mancata/tardiva conoscenza del procedimento, gravi e comprovati motivi) l'opportunità di un rinvio per la comparizione personale delle parti. A tale udienza il Presidente del Tribunale deve (dovrebbe) sentire i coniugi prima separatamente e poi congiuntamente, tentando di conciliarli. Qualora la conciliazione non riesca, dopo aver sentito anche i rispettivi difensori, nonché i figli minori che abbiano gia’ compiuto i 12 anni (o di eta’ inferiore se capaci di discernimento), emette con ordinanza i provvedimenti temporanei ed urgenti nell’interesse dei coniugi e dei figli, provvedendo in tal senso anche qualora il coniuge convenuto non si presenti. Dopodiche’ da’ le opportune disposizioni per la prosecuzione del giudizio avanti al Giudice Istruttore (cd. fase di merito). E’ fatta comunque sempre salva la possibilita’ per i coniugi di trovare un accordo sulle condizioni anche nel corso del giudizio e di passare dal divorzio contenzioso al divorzio congiunto. In tal caso il Giudice Istruttore (o ancor prima il Presidente) preso atto dell’intervenuto accordo tra i coniugi sulle condizioni di divorzio, previa trasformazione del rito da contenzioso a camerale, rimette la causa alla cognizione del Tribunale in camera di consiglio per la pronuncia della sentenza. Contrariamente, se la causa deve proseguire per la decisione sul merito, il Giudice Istruttore, dopo aver assunto le prove sulle opposte domande delle parti, avendo soprattutto a riguardo il preminente interesse dei minori, rimettera’ la causa, allorquando la riterra’ sufficientemente istruita, al Collegio per la pronuncia della sentenza. Oltreché per i figli minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti, con la sentenza di divorzio il Tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione della familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, disporra’ l’obbligo per un coniuge di erogare a favore dell’altro un assegno cd. divorzile quando quest’ultimo non ha i mezzi adeguati o comunque non puo’ procurarseli per ragioni oggettive. Su accordo delle parti (e pertanto nel solo divorzio congiunto) la corresponsione puo’ avvenire anche in unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal Tribunale. Se l’assegno viene corrisposto “una tantum” lo stesso, a differenza di quello periodico non potra’ essere piu’ oggetto di alcuna richiesta di revisione, e il coniuge beneficiario non avrà il diritto a percepire la quota di TFR dell’altro coniuge né la pensione di reversibilita’ (che invece spetta al coniuge che non si sia risposato), ed infine, lo stesso non sara’ fiscalmente detraibile per il coniuge che lo eroga e, reciprocamente, non costituira’ reddito, e pertanto non sara’ soggetto a tassazione, per colui che lo percepisce. 
Per moltissimo tempo la giurisprudenza, al fine del riconoscimento e dell’ammontare, dell’assegno divorzile, ha rapportato l’inadeguatezza dei redditi del coniuge piu’ debole, al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Nel 2018 le sezioni unite della suprema Corte di Cassazione hanno decretato il superamento del criterio del pregresso tenore di vita dei coniugi come parametro per la determinazione dell’assegno divorzile affermando che il riconoscimento dell’assegno divorzile richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi e dell’impossibilita’ di procurarseli per ragioni oggettive di colui che lo domanda e, nel caso sussistesse tale sperequazione, il giudice dovra’ valutare se la stessa dipenda dal ruolo dell’ex coniuge che, nel sacrificare le proprie aspettative personali e professionali, anche in relazione alla sua eta’ e alla durata del matrimonio, abbia col proprio apporto contributo alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi, riconoscendogli, in tal caso, un congruo assegno divorzile.
L’obbligo di corresponsione dell’assegno cessa se il coniuge beneficiario si risposa. Parimenti, cosi’ come per la separazione coniugale la convivenza “more uxorio” determina la irreversibile revoca del diritto all’assegno divorzile.
L’abitazione nella casa familiare spettera’ di preferenza al genitore presso il quale vengono collocati i figli o con il quale i figli non autosufficenti convivono oltre la maggiore eta’. Nel divorzio, a differenza che nella separazione dove occorre ottenere uno specifico ordine del giudice, nel caso in cui il coniuge obbligato si renda inadempiente del pagamento dell’assegno divorzile, e’ possibile ottenere direttamente dai terzi, tenuti a corrispondere periodicamente somme di danaro al coniuge obbligato (es. datori lavoro, entri previdenziali, ecc.), con un atto di intimazione, il pagamento mensile di una somma pari all’importo del suddetto assegno.
In caso di morte dell’ex coniuge, in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilita’, il coniuge rispetto al quale e’ stata pronunciata la sentenza di divorzio, purche’ allo stesso non sia stata in precedenza addebitata la separazione, ha diritto, se non passato a nuove nozze, e non abbia ottenuto un assegno divorzile “una tantum”, alla pensione di reversibilita’, sempreche’ il rapporto di lavoro dal quale trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza di divorzio. Tuttavia il coniuge separato con addebito conserva il diritto ad un assegno vitalizio qualora, all'apertura della succesione dell'altro coniuge, egli già godeva dell'assegno alimentare a carico di quest'ultimo.
Parimenti al coniuge divorziato, a differenza che al coniuge separato, che non si e’ risposato e non ha ottenuto un assegno divorzile “una tantum”, e al quale non sia stata addebitata la separazione, spetta una percentuale pari al 40% del TFR relativa agli anni in cui il rapporto di lavoro e’ coinciso con il matrimonio.

 
 

STUDIO LEGALE ASSOCIATO NICOLETTI - ZARO

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