Il contratto
La nozione di contratto è contenuta all’art.1321 del codice civile, che lo definisce l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale.
Da ciò si ricava che il contratto:

è un accordo necessariamente bi o plurilaterale (presuppone cioè la presenza di almeno due parti);
ha sempre natura patrimoniale (non incide quindi su rapporti di carattere personale, come ad esempio quelli in materia di famiglia);
ha la funzione di costituire, regolare o estinguere rapporti giuridici (ne crea di nuovi o interviene su rapporti preesistenti, regolandone il contenuto o estinguendoli).

L’autonomia contrattuale

L’art. 1322 c.c. consente alle parti di determinare liberamente il contenuto del contratto, nel rispetto dei limiti imposti dalla legge.
E’ la cosiddetta autonomia contrattuale, che legittima le parti a:
concludere contratti “nominati” o tipici, in cui l’assetto di interessi dei contraenti è già previsto e disciplinato per legge;

concludere contratti “innominati” o atipici (che esulano cioè dai modelli contrattuali esistenti), purchè siano diretti a perseguire interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento;
concludere contratti c.d. “misti”, frutto della commistione di elementi propri di diverse fattispecie contrattuali tipiche;
intervenire sul contenuto del contratto, anche tipico, inserendovi i c.d. elementi accessori o accidentali (cfr. paragrafo 6) in modo da adattarlo ai propri specifici interessi, purchè ciò avvenga nel rispetto dei limiti imposti per legge (norme imperative, ordine pubblico e buon costume).

Gli elementi del contratto
Il contratto si inserisce entro la più ampia figura del negozio giuridico, di cui presenta gli elementi tipici, essenziali ed accessori.
Gli elementi essenziali sono quelli che non possono mancare all’interno del contratto, che altrimenti risulta invalido e inefficace (o comunque destinato ad essere dichiarato tale).

A norma dell’art. 1325 c.c. sono:
l’accordo; la causa; l’oggetto;
la forma, quando è prescritta dalla legge a pena di nullità (c.d. forma ad substantiam).
Gli elementi accessori (su cui torneremo più diffusamente al paragrafo 6 e segg.) sono invecemeramente eventuali, quindile parti sono libere di inserirli o meno, in forza dell’autonomia contrattuale loro riconosciuta, senza che ciò pregiudichi la validità del contratto.
I più comuni sono:

la condizione; il termine;
il modo (o onere).

L’accordo
Tra gli elementi essenziali del contratto il primo ad essere menzionato è l’accordo, definito l’incontro delle manifestazioni di volontà dei contraenti:

quella di chi propone il contratto (proposta); quella di chi accetta (accettazione).
La proposta e accettazione rappresentano le fasi tipiche attraverso le quali si giunge alla conclusione del contratto, spesso all’esito di trattative più o meno lunghe.

La causa
Altro elemento essenziale è la causa, comunemente definita la funzione economico – sociale del contratto, ossia una sintesi degli effetti essenziali che questo è in grado di produrre (ad esempio nella compravendita è lo scambio tra bene e prezzo, nella
locazione è il godimento del bene contro un corrispettivo).
La causa va tenuta ben distinta dai motivi (ossia le ragioni soggettive che spingono le parti a contrarre) che di regola sono irrilevanti.
In base alla causa è possibile distinguere tra:

contratti tipici o nominati: in cui l’operazione economica perseguita dai contraenti è tradotta in un modello già previsto e disciplinato per legge;
contratti atipici o innominati: che esulano dalle tipologie contrattuali tipiche e che le parti sono libere di concludere in forza dell’autonomia contrattuale, pur con i limiti già menzionati (norme imperative, ordine pubblico, buon costume e meritevolezza degli interessi perseguiti).
La disciplina di questi contratti ha la propria fonte nelle pattuizioni delle parti e, per quanto non espressamente previsto, nella disciplina legale del contratto in generale;

contratti misti: in cui all’interno di un unico contratto confluiscono più elementi di fattispecie contrattuali distinte (ad es. il contratto di parcheggio, in cui vi sono elementi tipici sia della locazione che del deposito) o più cause tipiche (ad esempio la vendita mista a donazione).
In punto di disciplina dei contratti misti la giurisprudenza propone due criteri:

assorbimento: se esiste un contratto tipico prevalente, si applica la relativa disciplina;
combinazione: ciascun elemento del contratto è regolato dalle specifiche norme di riferimento;
contratti collegati: a differenza dei contratti misti si tratta di più contratti, tipici o atipici, che pur conservando ciascuno la propria autonomia sono interdipendenti tra loro e appunto collegati nel perseguimento di uno scopo unitario (è il caso del contratto di compravendita di merci collegato a quello di noleggio del mezzo per il trasporto dei beni).

L’Oggetto
Si tratta della cosa o del comportamento oggetto dello scambio, della promessa o del conferimento dell’una all’altra parte.

A norma dell’art. 1346 c.c. l’oggetto del contratto dev’essere:
possibile: se si tratta di una cosa dev’essere esistente o comunque deve poter esistere, mentre se è un comportamento umano dev’essere compatibile con le caratteristiche di chi è chiamato ad attuarlo. La possibilità, oltre che naturale dev’essere anche giuridica, cioè legittimamente realizzabile secondo i canoni dell’ordinamento;
lecito: l’oggetto non dev’essere contrario a norme imperative, ordine pubblico e buon costume;
determinato o determinabile: dev’essere certo, individuato o quantomeno
individuabile nel momento di esecuzione del contratto.
Tutti questi requisiti è sufficiente sussistano quando il contratto produce effetti e non necessariamente nel momento in cui viene concluso.

La forma
E’ il mezzo con cui si manifesta la volontà negoziale ed è elemento essenziale del contratto (e del negozio giuridico in generale) in quanto una volontà meramente interna, quindi non manifestata, è giuridicamente irrilevante.
La volontà può manifestarsi in modo:

espresso, mediante parole, scritti o qualsiasi altro mezzo che renda palese agli altri il proprio pensiero;
tacito (c.d. facta concludentia), cioè tramite un comportamento che secondo il comune sentire sarebbe incompatibile con una volontà diversa.
Nel nostro ordinamento vige il principio di libertà formale, diretta espressione dell’autonomia contrattuale, secondo cui il dichiarante può manifestare la volontà nella forma che preferisce.
In alcuni casi, tuttavia, l’ordinamento subordina la validità del contratto all’utilizzo della forma scritta (atto pubblico o scrittura privata autenticata).
La forma scritta può essere richiesta:

ad substantiam, per richiamare l’attenzione del dichiarante sull’importanza dell’atto e conferirgli maggior certezza;
ad probationem, per dar prova del compimento dell’atto.
La forma ad substantiam rappresenta un onere per le parti, in quanto la mancata osservanza del requisito è causa di nullità dell’atto.
L’inosservanza della forma ad probationem non comporta invece la nullità del contratto ma esclude solo la possibilità di provarlo per testi o per presunzioni semplici.

La conclusione del contratto

L’art. 1326 c.c. prevede che il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte, dunque tramite l’incontro delle rispettive manifestazioni di volontà (c.d. principio consensualistico).
Se il contratto è concluso tra persone presenti nello stesso luogo, la conclusione è
istantanea.
Se invece le parti si trovano in luoghi diversi, il contratto si intende concluso non appena il proponente ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte.
La legge, salvo casi particolari, consente al proponente di revocare la proposta prima che il contratto sia concluso e all’accettante di revocare l’accettazione, prima che il proponente ne abbia avuto conoscenza.
Proprio in riferimento ai contratti conclusi a distanza e alla difficoltà, per ciascuna parte, di individuare l’esatto momento in cui l’altra ha contezza della dichiarazione, l’art. 1335
c.c. introduce una presunzione di conoscenza.
Prevede infatti che la proposta, l’accettazione e la loro eventuale revoca si considerano conosciute nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario, salvo che questi provi di esser stato nell’impossibilità di averne notizia senza sua colpa.

I contratti reali e altre modalità di conclusione del contratto
Alla regola del principio consensualistico fanno eccezione i contratti reali (mutuo, deposito, pegno...), tutti rigorosamente tipici, in cui affinchè il contratto possa dirsi concluso è necessario:

il consenso delle parti;
la consegna del bene, vero e proprio elemento costitutivo del contratto e non mera obbligazione a carico di uno dei contraenti.
Oltre che dall’incontro tra proposta e accettazione il contratto può inoltre formarsi secondo altri schemi:

l’incontro tra proposte equivalenti;
l’elaborazione di una comune dichiarazione;
l’adesione ad un contratto aperto, predisposto da un terzo;
l’adozione di comportamenti concludenti, da cui si desume la volontà inequivocabile delle parti di concludere l’accordo.

L’interpretazione del contratto
L’interpretazione del contratto è quell’attività finalizzata ad indagare e ricostruire il significato da attribuire alle dichiarazioni dei contraenti: non è infatti infrequente che queste siano intese in modo diverso dalle parti e da eventuali terzi interessati.

Proprio a tal fine il codice civile (artt. 1362 - 1371 c.c.) detta una serie di regole cui attenersi nell’interpretare il contratto.
All’interno di queste regole si individuano:

criteri di interpretazione soggettiva (artt. 1362-1365 c.c.), da applicare prioritariamente e volti a ricostruire la reale, comune intenzione delle parti; criteri di interpretazione oggettiva (artt. 1366-1370 c.c.), utili per determinare il significato di una specifica clausola o anche dell’intero contratto, se malgrado
l’applicazione dei criteri soggettivi la volontà comune resta dubbia o incerta; norme di chiusura (art. 1371 c.c.), cui ricorrere se nonostante l’applicazione degli altri due criteri il significato del contratto resta ancora poco chiaro.

Gli elementi accessori del contratto
Si è detto che le parti, in forza dell’autonomia contrattuale loro riconosciuta, possono
inserire nel contratto elementi ulteriori rispetto a quelli essenziali, in modo da adattarne il contenuto ai propri interessi.
Si tratta dei cosiddetti elementi accessori o accidentali, che quindi possono essere presenti o meno, senza che ciò pregiudichi validità ed efficacia del contratto.
Dal momento però in cui le parti decidono di includerli, tali elementi diventano parte integrante del contratto e quindi obbligatori e vincolanti per i contraenti.
I principali elementi accessori del contratto sono:

la condizione; il termine;
il modo.
La condizione
La condizione è un evento:

futuro; incerto
cui le parti subordinano l’inizio (condizione sospensiva) o la cessazione (condizione
risolutiva) degli effetti del contratto.
Es. ti pagherò 100,00 euro SE la nave tornerà dall’Asia (non ho certezza che la nave faccia ritorno).
L’evento dedotto in condizione dev’essere possibile e lecito. La condizione illecita rende infatti nullo il contratto; quella impossibile:

se risolutiva si considera come non apposta; se sospensiva determina la nullità del contratto.
Una volta verificatasi la condizione, la situazione giuridica diventa definitiva con efficacia retroattiva:

se è sospensiva, gli effetti del contratto si considerano prodotti fin dal momento della sua conclusione;
se è risolutiva si caducano fin da quel momento.

Il termine
Il termine è un evento:

futuro; certo
cui le parti subordinano l’inizio (termine iniziale) o la cessazione (termine finale) di efficacia del contratto.
Es. ti pagherò 100,00 euro QUANDO la nave tornerà dall’Asia (so per certo che la nave farà ritorno, ma non so con esattezza quando).
Trattandosi di un avvenimento certo, il termine, a differenza della condizione, non mette
in dubbio gli effetti del contratto ma li differisce o li fa cessare in un momento successivo.

Il modo (o onere)
Il modo è un elemento accidentale tipico del negozio giuridico, in particolare (stando alla previsione del codice civile) dei soli atti di liberalità (istituzione di erede, legato, donazione).
La dottrina prevalente lo ritiene tuttavia apponibile sia agli atti tra vivi sia a quelli per causa di morte purchè a titolo gratuito, quindi anche ad alcuni contratti (ad esempio il comodato o il mutuo, se gratuito).
E’ definito modo o onere proprio perché si tratta di un peso imposto al destinatario dell’atto gratuito, allo scopo di limitarne gli effetti.
Es. ti dono/ do in comodato la casa con l’obbligo di ospitarvi i miei parenti ogni estate.
Se il modo è impossibile o illecito si ha per non apposto, salvo il caso in cui sia stato il solo motivo determinante la liberalità.
L’impossibilità sopravvenuta del modo libera l’obbligato, che in ogni caso non è tenuto ad adempiere oltre il valore di quanto ha ricevuto.

L’efficacia del contratto

A norma dell’art. 1372 c.c. il contratto, una volta concluso, ha forza di legge tra le parti.
Ciò significa che malgrado le parti siano libere di stipularlo o meno, una volta che lo hanno concluso sono tenute ad osservarlo e restano vincolate al suo contenuto che ne regola i rapporti reciproci al pari di una norma di legge.
L’art. 1372 c.c. precisa infatti che il contratto (concluso) non può essere sciolto che per
mutuo consenso (cioè di comune accordo) o per cause ammesse dalla legge. L’efficacia del contratto si estende anche:

al successore a titolo universale di ciascun contraente (cioè colui che subentra in tutti i suoi rapporti giuridici, attivi e passivi, ad esempio l’erede);
ai suoi aventi causa o successori a titolo particolare (cioè coloro che subentrano solo in specifici rapporti, ad esempio l’acquirente di uno dei contraenti).
Quanto invece ai terzi (cioè quei soggetti diversi dai contraenti né ad essi equiparati), la norma precisa che ilcontratto non ha effetto nei loro confronti se non nei casi previsti per legge.
E’ il c.d. principio di relatività, per cui di regola nessuno può veder pregiudicata la propria sfera patrimoniale a seguito di un atto concluso da altri.
Il riferimento è ovviamente ai soli effetti diretti, cioè quelli che trovano nel contratto la propria fonte immediata, mentre il terzo sarà sempre potenzialmente esposto agli effetti riflessi del contratto altrui (ad esempio nella vendita di immobile locato il conduttore dovrà interfacciarsi suo malgrado con un altro locatore).

Contratti ad effetti reali e obbligatori
Gli effetti del contratto sono le conseguenze che questo produce sul rapporto giuridico patrimoniale di riferimento (creandolo ex novo, regolandolo o estinguendolo).
Oltre agli effetti tipici, previsti per legge, il contratto può eventualmente produrre:

gli effetti espressamente voluti dalle parti nell’esercizio dell’autonomia contrattuale;
effetti integrativi, conseguenti all’applicazione di legge, usi o equità, per colmare lacune presenti nel regolamento negoziale.
In base agli effetti prodotti si è soliti distinguere tra:

contratti ad effetti reali: che determinano il trasferimento o la costituzione di un diritto reale o il trasferimento di un altro diritto (ad. es. compravendita, mutuo); contratti ad effetti obbligatori: che costituiscono o incidono su un rapporto obbligatorio.
La distinzione su richiamata è particolarmente evidente guardando all’effetto traslativo, che può conseguire anche ai contratti ad effetti obbligatori.
In questi ultimi l’effetto traslativo è sospeso finchè non si produce uno dei seguenti eventi:

la specificazione del bene (dunque la sua esatta individuazione tramite pesatura, conteggio o misurazione), se oggetto della prestazione è una cosa generica;
la venuta ad esistenza della cosa, se si tratta di cosa futura;
l’acquisto della proprietà da parte del venditore, se si tratta di cosa altrui.
Nei contratti ad effetti reali l’effetto traslativo o costitutivo è invece immediato: vale il principio consensualistico di cui all’art. 1376 c.c. per cui la proprietà si acquista (e si trasferisce) tramite il consenso.
Dal punto di vista del perfezionamento i contratti ad effetti reali sono quindi tipicamente consensuali e vanno tenuti ben distinti daigià menzionati contratti reali, che invece si perfezionano tramite la complessa fattispecie in cui al consenso delle parti si aggiunge la dazione della cosa, come ulteriore elemento costitutivo (cfr. paragrafo 4.1.).

Il recesso
Si è detto che il contratto ha forza di legge tra le parti e non può sciogliersi che per mutuo consenso o nei casi espressamente previsti per legge.

Tra questi ultimi figura il recesso (art. 1373 c.c.), ossia il diritto di una parte di sciogliersi unilateralmente dal vincolo contrattuale, tramite una dichiarazione comunicata all’altra parte.
Il recesso può essere:

legale, se è previsto per legge come nel caso di alcuni contratti nominati (locazione, mandato, mutuo…), solitamente quelli in cui l’esecuzione del contratto si protrae nel tempo senza che sia stabilito in anticipo il momento di cessazione;
convenzionale, se invece è previsto dalle parti con apposita clausola. In questi casi l’esercizio del recesso avviene spesso in cambio di un corrispettivo in favore della parte che subisce lo scioglimento del rapporto contrattuale (es. multa e caparra penitenziale).
La legge stabilisce che la facoltà di recedere può essere esercitata finchè il contratto non ha avuto un principio di esecuzione.
Nei contratti ad esecuzione continuata o periodica (ad esempio quello di somministrazione) il recesso può invece esercitarsi anche successivamente ma non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione.
A differenza del mutuo consenso o della revoca unilaterale, il recesso non fa propriamente venir meno il contratto ma pone fine al rapporto giuridico che da esso origina con efficacia ex nunc, cioè dal momento del recesso stesso.

L’esecuzione del contratto
Una volta che il contratto è concluso le prestazioni previste devono essere eseguite.
La legge prescrive che nell’adempimento delle obbligazioni le parti adottino la diligenza del buon padre di famiglia, ossia quello sforzo comunemente richiesto all’uomo medio per garantire la soddisfazione delle pretese dell’altra parte.

Con specifico riferimento al contratto l’art. 1375 c.c. prevede che questo dev’essere eseguito secondo buona fede, intesa in senso oggettivo, come reciproca lealtà di condotta, che oltre alla fase di esecuzione deve presiedere anche a quella di formazione ed interpretazione del contratto.
Un vero e proprio dovere solidaristico, che a prescindere da specifici obblighi contrattuali, impone a ciascuna parte di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, nei limiti in cui ciò non comporti un apprezzabile sacrificio a suo carico.

Classificazioni
Guardando alla fase di esecuzione del contratto (e dunque al momento di produzione dei suoi effetti) è possibile distinguere tra:

contratti ad esecuzione istantanea, che esauriscono i propri effetti in un solo momento;
contratti di durata, la cui esecuzione è protratta nel tempo per soddisfare bisogni destinati appunto a sussistere per un certo intervallo temporale.
I contratti ad esecuzione istantanea possono essere:

esecuzione immediata, se questa è contestuale alla costituzione del contratto (come nei contratti reali);
esecuzione differita, se questa è invece successiva (ad esempio nella vendita a termine).
I contratti di durata si distinguono a loro volta in:

contratti ad esecuzione continuata, in cui la prestazione è unica ma protratta
nel tempo (ne è un esempio il contratto di locazione);

contratti ad esecuzione periodica, in cui vi sono più prestazioni, effettuate in date prestabilite (es. rendita o contratto vitalizio) oppure saltuariamente, su richiesta di una delle parti (es. contratto di conto corrente).

Le patologie del contratto: nullità, annullabilità, rescissione, risoluzione
Il contratto, sia esso tipico o atipico, produce effetti solo se rispetta determinati requisiti previsti dall’ordinamento
Se uno di questi manca o è viziato, il contratto è invalido e quindi inefficace, o destinato ad esser dichiarato tale.
A seconda del vizio, la patologia contrattuale può essere più o meno grave;
l’ordinamento ha quindi previsto una serie di istituti (nullità, annullabilità, rescissione e risoluzione) che rappresentano altrettante condizioni giuridiche del contratto viziato, ciascuna con proprie peculiarità.
Mentre nullità e annullabilità si applicano indistintamente a tutte le tipologie di contratto, rescissione e risoluzione operano solo rispetto ai contratti a prestazioni corrispettive, quelli cioè in cui le prestazioni sono legate da un nesso di reciprocità tale per cui ciascuna costituisce la ragion d’essere dell’altra ed ogni anomalia (o anche solo
l’inadempimento) dell’una incide inevitabilmente sull’altra e sulla causa del rapporto.
Rescissione e risoluzione presuppongono un difetto del sinallagma contrattuale, che in caso direscissione investe il momento di costituzione del vincolo, mentre nella risoluzione si manifesta successivamente (il contratto nasce valido ma subentra un vizio in corso di svolgimento del rapporto).

La nullità
La nullità è la più grave forma di invalidità contrattuale, prevista a tutela dell’interesse generale.

A norma dell’art. 1418 c.c. il contratto è nullo quando:
è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente; manca uno dei requisiti indicati all’art. 1325 c.c. (accordo, causa, oggetto, forma prescritta a pena di nullità);
la causa è illecita;
il motivo è illecito, ai sensi dell’art. 1345 c.c.;
l’oggetto è impossibile, illecito, indeterminato o indeterminabile; sussiste uno degli altri casi previsti dalla legge.
La nullità può essere:

testuale, se è espressamente prevista;
virtuale, se pur in assenza di un’espressa previsione normativa, risulta come conseguenza della violazione di una norma imperativa;
totale, se colpisce il contratto nella sua interezza;
parziale, se ne colpisce solo una parte.
Quest’ultima si distingue a sua volta in oggettiva e soggettiva, a seconda che interessi parte del contenuto contrattuale o colpisca il vincolo di una delle parti.
La nullità presenta inoltre le seguenti caratteristiche. E’:

improduttiva di effetti;
rilevabile d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del giudizio, senza necessità di una domanda di parte, purchè risulti dagli atti;
insanabile, né mediante convalida né per prescrizione dell’azione.
L’azione con cui si fa valere la nullità è invece:

dichiarativa (o di mero accertamento), nel senso che non muta la situazione giuridica già esistente ma si limita ad accertarla;
imprescrittibile, fatti salvi solo gli effetti dell’usucapione e la prescrizione delle azioni di ripetizione;
assoluta, poichè legittimato ad esercitarla è chiunque vi ha interesse (le parti e anche i terzi pregiudicati dal contratto).
La nullità, una volta dichiarata, fa venir meno il contratto con efficacia retroattiva (c.d. ex tunc), come se non fosse mai stato posto in essere.

La annullabilità
L’annullabilità è la condizione giuridica patologica del contratto, affetto da un vizio non così grave da comportarne la nullità.
E’ prevista a tutela del contraente c.d. “debole” rispetto all’altra parte, consentendogli di scegliere se mantenere o meno in vita il contratto.
A differenza della nullità l’annullabilità è solo testuale, per cui sussiste solo nei casi espressamente previsti per legge.
Sono cause di annullabilità:

l’incapacità legale o naturale della parte (fa tuttavia eccezione il caso del minore che ha contrattato occultando dolosamente l’età);
i vizi del consenso (errore, violenza, dolo).
Sono poi previste ipotesi di annullabilità giustificate da abusi compiuti in danno di una parte (contratto concluso con sé stesso o dal rappresentante in conflitto d’interessi col rappresentato).
L’annullabilità è:

produttiva di effetti interinali (o instabili), nel senso che il negozio annullabile produce effetti, che tuttavia potranno venir meno se viene proposta e accolta la relativa azione;
irrilevabile d’ufficio dal giudice: di regola, legittimata a chiedere l’annullamento è solo la parte nel cui interesse è stabilito per legge (annullabilità relativa), tuttavia in certi casi può agire qualsiasi interessato (annullabilità assoluta), ad esempio per l’annullamento del matrimonio, del testamento inficiato da vizi della volontà, degli atti dell’interdetto legale;
sanabile, a seguito di convalida o della prescrizione dell’azione di annullamento.
L’azione di annullamento è:

costitutiva, poichè modifica la situazione preesistente, in quanto il contratto annullabile aveva prodotto i suoi effetti e la sentenza li elimina con efficacia retroattiva;
prescrittibile: è soggetta a prescrizione quinquennale che decorre giorno in cui è cessata la causa che ha dato luogo al vizio o da quello in cui il contratto è stato concluso.
L’eccezione di annullamento è invece imprescrittibile: chi è convenuto in giudizio per
l’esecuzione di un contratto annullabile può sempre eccepirne l’annullabilità senza limiti di tempo.

La rescissione del contratto
La rescissione è una forma di invalidità volta a tutelare chi ha concluso il contratto a condizioni inique, pur di sottrarsi ad una situazione di bisogno o di pericolo.
La legge prevede due ipotesi:

rescissione del contratto concluso in stato di pericolo (art. 1447 c.c.); azione generale di rescissione per lesione (art. 1448 c.c.).
Presupposti della prima sono:

lo stato di pericolo in cui versava uno dei contraenti o un’altra persona (ad esempio un familiare): il pericolo dev’essere attuale, cioè sussistere al momento della stipula del contratto, e il danno alla persona grave;
l’iniquità delle condizioni contrattuali alle quali il contraente si è obbligato per ovviare allo stato di pericolo in cui versava;
la conoscenza dello stato di pericolo da parte del contraente che ne ha tratto vantaggio.
Il giudice, nel pronunciare la rescissione può comunque, secondo le circostanze, assegnare un equo compenso all’altra parte per l’opera prestata.
L’azione generale di rescissione per lesione si caratterizza invece per:

la sproporzione tra le prestazioni delle parti (c.d. lesione ultra dimidum), per cui il valore della prestazione chiesta al danneggiato deve eccedere di oltre il doppio quello della prestazione chiesta all’altra parte. La lesione deve inoltre perdurare fino al momento in cui è proposta la domanda di rescissione;
lo stato di bisogno del contraente danneggiato, che dev’essere stata la causa da cui è dipesa la sproporzione tra le prestazioni delle parti. Lo stato di bisogno è
inteso non necessariamente come indigenza ma anche come semplice difficoltà economica;

l’approfittamento di tale stato di bisogno da parte dell’altro contraente, che deve aver agito consapevolmente allo scopo di trarne un’utilità economica.
Legittimato ad esercitare l’azione di rescissione è il solo contraente danneggiato e, analogamente a quanto accade con l’annullamento, gli effetti del contratto rescindibile permangono finchè non è stata proposta la relativa azione e la rescissione accertata con pronuncia del giudice.
L’azione di rescissione si prescrive nel breve termine di un anno, che una volta trascorso rende inopponibile anche la relativa eccezione.
A norma dell’art. 1448 c.c. la rescissione non è infine invocabile nei contratti aleatori, quelli cioè in cui l’entità e l’esistenza della prestazione dipendono da un elemento incerto e quindi il rischio contrattuale, oltre ad essere fisiologicamente più ampio, tanto da rivestire rilevanza causale, è noto e consapevolmente assunto dalla parte.

La risoluzione del contratto
La risoluzione è una forma di invalidità che opera rispetto ad anomalie che si manifestano
dopo la conclusione del contratto.

Il codice civile prevede tre ipotesi di risoluzione:

per inadempimento (1453 – 1462 c.c.);
per impossibilità sopravvenuta (1463 – 1466 c.c.); per eccessiva onerosità (1467 – 1469 c.c.).
La risoluzione per inadempimento si riferisce all’ipotesi in cui, in un contratto a prestazioni corrispettive, uno dei contraenti è inadempiente: in tal caso l’altra parte può scegliere di agire per l’adempimento oppure esercitare il diritto di risolvere il contratto, salvo, in entrambi i casi, il risarcimento del danno. Una volta chiesta la risoluzione non è più possibile agire per l’adempimento, mentre vale l’opposto.
Di regola la risoluzione necessita di una sentenza del giudice (risoluzione giudiziale) ma ci sono ipotesi tassativamente previste per legge in cui opera automaticamente (c.d. risoluzione di diritto, cfr. paragrafo 10.4.2.).
La risoluzione per impossibilità sopravvenuta risponde all’esigenza di garantire lo scioglimento del rapporto quando la prestazione di uno dei contraenti è divenuta
impossibile da adempiere per causa a lui non imputabile.
L’art. 1463 c.c. dispone infatti che la parte “liberata” per sopravvenuta impossibilità non può chiedere la controprestazione e deve restituire quella già ricevuta.
Se la prestazione è divenuta solo parzialmente impossibile, l’altra parte ha diritto ad una corrispondente riduzione della propria prestazione e può anche recedere dal contratto se non ha interesse apprezzabile all’adempimento parziale.
La risoluzione per eccessiva onerosità (art. 1467 c.c.) è prevista per ovviare ad un eccessivo squilibrio tra le prestazioni, purchè sopravvenuto rispetto al momento di conclusione del contratto e conseguente ad eventi straordinari ed imprevedibili, dunque non imputabili alla parte.
La parte che deve la prestazione divenuta impossibile può domandare la risoluzione del contratto, che però può essere evitata dall’altro contraente, se si offre di modificare equamente le condizioni del contratto.
La risoluzione non può essere domandata se l’onerosità sopravvenuta rientra nell’alea normale del contratto.
Effetto della risoluzione, comune a tutte le predette ipotesi, è lo scioglimento del contratto con efficacia retroattiva tra le parti, salva solo l’ipotesi dei contratti ad esecuzione continuata o periodica in cui la risoluzione non pregiudica le prestazioni già eseguite.
Scopo della risoluzione è quello di riequilibrare la posizione economico-patrimoniale dei contraenti eliminando non il contratto, ma i suoi effetti.
La risoluzione non interviene quindi sull’atto (che era valido quando è stato concluso) ma sul rapporto: lo conferma il fatto che è possibile chiedere anche il risarcimento del danno, proprio perché il contratto era valido e le obbligazioni da esso derivanti andavano eseguite.

La risoluzione di diritto
Trattando della risoluzione per inadempimento si è detto che vi sono ipotesi, tassativamente previste, in cui questa opera di diritto, per effetto del solo inadempimento e della dichiarazione della parte di volersene avvalere.
Si tratta dei seguenti casi:

diffida ad adempiere (1454 c.c.);
clausola risolutiva espressa (1456 c.c.);
scadenza del termine essenziale (1457 c.c.).
La diffida ad adempiere
L’art. 1454 c.c. prevede che, alla parte inadempiente, l’altra può intimare per iscritto di adempiere entro un termine congruo, dichiarando che decorso inutilmente tale termine il contratto si intenderà risolto.
Il termine assegnato per l’adempimento non può essere inferiore a quindici giorni, salvo che le parti non abbiano pattuito diversamente o che, per la natura del contratto o in base agli usi, risulti congruo un termine inferiore.
Una volta decorso il termine senza che il contratto sia stato adempiuto questo è risolto di diritto.
La clausola risolutiva espressa
I contraenti possono anche inserire nel contratto un’apposita clausola con cui prevedono espressamente la risoluzione del contratto se una certa obbligazione non è adempiuta secondo le modalità stabilite.
Anche in tal caso lo scioglimento contrattuale si verifica di diritto, purchè la parte interessata dichiari all’altra che intende valersi della clausola risolutiva.
Il termine essenziale
L’ultima ipotesi in cui si verifica la risoluzione di diritto è quella in cui le parti hanno convenuto un termine essenziale per l’adempimento di una delle prestazioni e questo non è stato rispettato.

Per termine essenziale deve intendersi quello decorso il quale l’altra parte non ha più interesse a ricevere la prestazione (si pensi al vestito da sposa consegnato il giorno successivo a quello del matrimonio).
L’art. 1457 c.c. prevede in proposito che una volta scaduto il termine da ritenersi essenziale il contratto si intende risolto di diritto anche se non è stata espressamente pattuita la risoluzione.
(Fonte: Altalex – Autore: Avv. Irene Marconi)
 

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